Ripensare l’iconografia beethoveniana oggi

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Ripensare l’iconografia beethoveniana oggi

Breve storia di una disciplina bistrattata

La bibliografia su Beethoven indicata dai dizionari musicologici come il Grove Dictionary of Music and Musicians o la MGG (Die Musik in Geschichte und Gegenwart) segnala solo le opere notevoli, dando validi punti di riferimento generale, ma fornisce un’immagine lacunosa di determinati ambiti: è il caso dell’iconografia. Nonostante una grande quantità di letteratura specialistica, questo campo di studio valutato attraverso il solo dizionario sembrerebbe d’ampiezza limitata.

Theodor von Frimmel (1853-1928), pioniere della disciplina intesa in senso moderno,1 è una figura anfibia tra la storia dell’arte e della musica: in ambito iconografico esordì nel 1880 con un articolo sui monumenti di Beethoven.2 Molto prolifico, egli scrisse due opere capitali: i Beethoven-Studien, 19053 e Beethoven im zeitgenössischen Bildnis, 1923.4

Per Frimmel l’idea di bellezza era essenziale. Egli riteneva che un’opera figlia di un bravo artista o “bella” avrebbe fornito la “giusta” immagine di Beethoven. In altri testi, di autori meno accorti di Frimmel, questa idea ha portato a una selezione “artificiale” di ritratti che ha decretato quali fossero le migliori interpretazioni dei lineamenti beethoveniani e, di conseguenza, quale fosse il “reale”, “verosimile”, “attendibile” aspetto che il maestro di Bonn dovesse avere. Col tempo la scelta ha reso difficile la conoscenza di un altro Beethoven che non fosse quello affidato a una manciata di effigi.

Questa cernita ha anche un’altra origine: a causa della destinazione privata molti ritratti non hanno avuto circolazione, se non in seguito alla morte del proprietario o dopo esser giunti in collezioni pubbliche. Già quando Beethoven era vivo esistevano raffigurazioni più note di altre, e tanto la litografia quanto la riproduzione a stampa hanno aiutato certe immagini e non altre a fissarsi nella mente del musicofilo. Una statistica relativa alla diffusione dei ritratti più noti resta comunque ancora da elaborare.

Preferire, nella riproduzione, solo i ritratti migliori è problematico. Di fronte a un ampio numero di opere di artisti minori e a oggetti d’arte eterogenei (categoria che comprende disegni a matita e olii su tela, litografie e incisioni, busti di gesso), il solo criterio del bello artistico non funziona giacché le opere non sono equiparabili né per la capacità dell’artista che le ha ideate né per la loro appartenenza ai generi più disparati, pur avendo in comune il soggetto rappresentato. Per tale motivo, di solito, gli storici dell’arte (a eccezione di Alessandra Comini negli Stati Uniti e Silke Bettermann in Europa) si sono tenuti a distanza dall’iconografia beethoveniana. Il secondo problema è l’idea stessa di selezione: scegliendo solo alcuni ritratti si fornisce un’immagine necessariamente parziale, che non comprende tutte le interpretazioni cui è andato soggetto il maestro di Bonn.

Lavorando con l’iconografia beethoveniana5 il primo obiettivo è stato capire quali e quanti fossero i ritratti del compositore vivente: scoprendo diverse opere poco riprodotte ho avuto dinnanzi agli occhi un’immagine più complessa di quella che conoscevo. Si può sottrarre la figura di Beethoven allo stereotipo cui siamo abituati senza escludere nessun ritratto, neanche se brutto, poco riuscito o opera di un artista dilettante. Come documenti i ritratti rivelano diversi significati: hanno una loro storia materiale, forniscono un’interpretazione del soggetto ritratto e fanno luce sulla ritrattistica del periodo. In questo modo le opere non diventano equiparabili, mantengono le loro peculiarità e continuano a essere più o meno riuscite artisticamente.

È vano porsi di fronte a un’opera d’arte cercando una visione oggettiva, senza pregiudizi o un’interpretazione definitiva, poiché l’esperienza estetica scaturisce dalla relazione unica e irripetibile tra una soggettività e un oggetto estetico. Tuttavia è importante ribadire che un’immagine di Beethoven emerge non solo da ritratti celebri ma anche da opere meno note e artisticamente “deboli” come quella di Isidor Neugass del 1806 (Beethoven-Haus, Bonn), opera di statura artistica diversa rispetto, ad esempio, al ritratto dipinto nel 1823 dal grande maestro del Biedermeier Ferdinand Georg Waldmüller, di cui resta un esemplare al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

L’iconografia beethoveniana dagli albori a oggi: una sintesi

Gli scritti di Frimmel naturalmente sono diversificati in base al lettore cui sono diretti. Nel 1901 venne data alle stampe una sua biografia per immagini non destinata agli specialisti,6 che comprendeva non solo i ritratti beethoveniani, ma anche quelli di persone dell’entourage del compositore, vedute, partiture.

Stephan Ley fu autore di un’opera simile intitolata Beethovens Leben in authentischen Bildern und Texten,7 costituita da citazioni che accompagnavano le immagini. Ley, come Frimmel, incluse ritratti di Beethoven e di suoi contemporanei, luoghi, etc. ma fece conquistare alle immagini uno spazio predominante: ogni pagina di testo è affiancata da una tavola.

Una prospettiva diversa si ebbe con The Changing Image of Beethoven. A Study in Mythmaking8 di Alessandra Comini incentrata sulle metamorfosi della figura di Beethoven, in particolare dopo la sua morte, che presenta un esteso ambito cronologico e un ventaglio di materiale più ampio rispetto alla biografia per immagini.

Cosa includere, dunque, nell’iconografia beethoveniana e cosa escludere? Estendere la trattazione anche ad altre figure, oltre al protagonista, è un’operazione utile a dare il contesto, ma che può far perdere di vista l’attenzione su Beethoven. Il rischio di mettere insieme oggetti appartenenti a mondi diversi è quello di confezionare un testo che assomiglia ai patinati coffee table books.9 Avendo come riferimento cronologico la vita di Beethoven (1770-1827) ho scelto di concentrare il mio punto di vista solo sul compositore, optando per una visione selettiva.

Definito l’arco temporale e la scelta delle opere andava chiarita la precisa collocazione dei ritratti nella vita di Beethoven: origine e ragione della committenza, destinazione, trasmissione e recezione da parte dei contemporanei erano, infatti, ricostruibili solo per frammenti. Le schede delle opere apparivano lacunose, quando non inesistenti, poiché i ritratti non sono stati considerati documenti, ma mere illustrazioni della biografia. Il primo livello è quindi il racconto della storia materiale dei ritratti.

Bisognava anche presentare artisti sconosciuti, le cui biografie sono in pratica scomparse di fronte alla fama del soggetto rappresentato, problema che deriva dal reputare i ritratti semplici illustrazioni. Il potere di parola del documento così considerato è duplice: da un lato, sul piano artistico è testimonianza del singolo artista figurativo in un dato periodo storico, dall’altro, sul piano biografico ci rende partecipi di un particolare momento della vita del compositore. I ritratti reintegrati nel loro contesto ci dicono qualcosa su Beethoven e sulla raffigurazione che voleva dare di sé: il ritratto non affianca la biografia, ma esso stesso si fa portatore della storia di cui fa parte e di cui è testimonianza. Ecco il secondo livello di lettura: saldando la loro storia materiale alla biografia i ritratti narrano la vita di chi è in essi raffigurato.

Desiderando ricreare un profilo più approfondito del compositore, a mio avviso, non si dovrebbero considerare i ritratti pittorici delle persone provenienti dall’ambiente di Beethoven, ma si dovrebbero considerare invece i ritratti letterari, quelli tramandati dalla memorialistica, vale a dire ricordi e impressioni dei suoi contemporanei, che presentano tratti in comune con quelli pittorici e scultorici.

Nel 1821, ad esempio, Anton Dietrich scolpì in stile neoclassico un mezzo busto di Beethoven, nudo di una nudità classica, senza pupille, che ricorda una Erma di Canova. L’originale si trova al Wien Museum, una copia al Beethoven-Haus di Bonn. Dietrich non perdette mai di vista il compositore in carne ed ossa (i suoi lineamenti sono privi d’imperfezioni ma fedeli) ed ebbe presente la maschera facciale di Beethoven vivente di Franz Klein del 1812. La scultura è idealizzata, ma s’innesta su elementi realistici come i tratti del volto di Beethoven impressi nel calco di Klein. Allo stesso modo le narrazioni spesso mescolano tratti verificabili del compositore a figure retoriche, poi riprese e copiate da altri scrittori.

Julius Benedict, allievo di Carl Maria von Weber, insieme con il quale giunse in visita da Beethoven il 5 ottobre 1823, scriveva:

Lear o i Bardi di Ossian dovevano avere quell’aspetto. I capelli spessi, grigi, rialzati sul capo, bianchi qua e là, la fronte e il cranio di un’ampiezza e di una curva meravigliosa, elevati come un tempio, il naso squadrato come quello di un leone, la bocca di forma nobile e dolce, il mento largo con quello straordinario ripiegamento a conchiglia che mostrano tutti i suoi ritratti, formato da due ossa mascellari che sembrano essere state create per schiacciare le noci più dure. Sul viso largo, butterato, era diffuso un cupo rossore: sotto le sue scure sopracciglia folte e riunite, due occhi piccoli e luminosi guardavano con dolcezza il visitatore.10

Come Dietrich anche Benedict, attraverso la retorica, mischia metafore (le Gorgoni, il leone) a dati oggettivi (la trascuratezza). Le immagini letterarie completano dunque il profilo fornito dai ritratti.

La piattezza dell’icona e la poliedricità dell’immagine di Beethoven

Tornando a un aspetto metodologico: oggi è impensabile riprodurre una copia invece dell’originale, ma era normale in passato quando l’opera che si voleva mostrare non era reperibile.11 D’après,12 specialmente litografici, erano usati per far circolare un’immagine come oggi la fotografia; fedeli o di fantasia, o copie di copie, la loro relazione con l’originale “sbiadisce” via via e assumeva talvolta dei tratti propri.13

Per rintracciare copie, esemplari e d’après derivati dell’originale sono utili nelle indagini preliminari i database di immagini offerti da un numero crescente di musei:14 esempio eccellente è quello del Beethoven-Haus.15 Schede e immagini digitali consentono di confrontare opere fisicamente distanti ancora prima di vederle dal vivo. Grazie alla digitalizzazione si possono guardare le opere d’arte in altissima risoluzione, ravvicinate ed estremamente ingrandite, attraverso lo schermo del computer.16

Il rovescio della medaglia è l’enorme disponibilità di riproduzioni a bassa risoluzione accessibili sul web e i ritratti beethoveniani che sono su cd, dischi, libri, nel merchandising. Nonostante l’onnipresenza di Beethoven a livello visivo, egli è riconosciuto come “autentico” solo in qualche caso: prima di tutto nel ritratto con la Missa solemnis di Joseph Karl Stieler del 1820. Quando riconosciamo un certo Beethoven come “autentico” siamo portati a ritenere tutte le altre raffigurazioni non somiglianti, mal eseguite, poco fedeli o di fantasia. Prevale una narrazione letteraria o visiva sintetica, che mostra solo alcune caratteristiche: Beethoven è sempre adulto ed è un compositore affermato. Il picco di popolarità visiva si ebbe tra il 1818?1820, con i ritratti di Ferdinand Schimon (1818-19) e di Stieler: rappresentazioni che infatti di norma predominano nella memoria collettiva. Talvolta sono noti anche ritratti precedenti o successivi (come l’olio su tela di Waldmüller), ma la poliedrica immagine del compositore sembra affidata solo a quattro o cinque ritratti.

Così accade con la vita: anche chi ha letto le più corpose biografie ricorda meglio alcuni aneddoti, come quello della troppa ammirazione di Goethe nei confronti della famiglia imperiale che pare egli avesse incontrato con Beethoven durante una passeggiata a Teplitz.17

Similmente avviene con la fruizione musicale: alcune Sinfonie sono più ascoltate di altre (Quinta, Nona, Terza e Sesta), fra le Sonate per pianoforte quelle dotate di titoli vanno per la maggiore: “Patetica” op. 13, “Chiaro di luna” op. 27 n. 2, “Pastorale” op. 28, “Les Adieux” op. 81a, “Tempesta” op. 31 n. 2, “Waldstein” op. 53, “Appassionata” op. 57.

Tutto ciò consolida un’immagine definita, riconoscibile e, nel caso del ritratto, riproducibile e facilmente divulgabile. Per essere venduta al maggior numero di persone questa rappresentazione è piatta, povera di dettagli, priva di contraddizioni. Non a caso Andy Warhol, nella sua versione di Beethoven in un ciclo di serigrafie, stampate nel 1987 da Rupert Jason Smith a New York e pubblicate da Hermann Wünsche a Bonn, ha eliminato dal ritratto di Stieler sfondo e colori originari sostituendoli con campiture di colore puro. Nella prima serigrafia il foulard da collo resta rosso, capelli e partitura in giallo, volto e mani in blu sono gli elementi predominanti. Nelle altre i colori sono combinati in modi diversi, ma il senso non cambia. Stieler ha ideato un’icona, Warhol mantiene la struttura del dipinto (la posa) e i tratti essenziali (il disegno) e ne stravolge il colore, ignora la Missa Solemnis presente in Stieler e aggiunge la Bagatella per pianoforte WoO 59 Per Elisa identificando il compositore con il suo pezzo più famoso.

L’immagine simbolica non può essere alterata: Beethoven resta identificabile. La piattezza del colore di queste opere ha il suo corrispettivo nella semplificazione del mito a livello narrativo. La novità sta nel mettere sullo stesso piano simboli della cultura “alta” e “pop”. Goethe, Mozart, Mao, Marilyn Monroe, Grace Kelly, Liz Taylor, Mick Jagger sono icone come Beethoven: possono essere trasformate senza perdere il loro significato simbolico.

In conclusione, per capire la complessità della figura di Beethoven, andando oltre la rappresentazione stereotipica, è importante conoscere le tante immagini di cui è protagonista a livello visivo e letterario. Classificare le diverse sembianze che il compositore ha assunto nel tempo significa essere consci che i lineamenti che sorgono nella nostra mente quando cerchiamo di raffigurarcelo sono una selezione parziale di quelle esistenti.

Benedetta Saglietti

1 Anche Schindler, Anton. Biographie von Ludwig van Beethoven. Münster, Aschendorff 1840, 18452, 18603 (2 voll.); La Mara (pseudonimo di Lipsius, Ida Marie). Classisches und Romantisches aus der Tonwelt. Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1892; e Thayer, Alexander Wheelock. Ludwig van Beethovens Leben. 3 voll., Berlin, Ferdinand Schneider, 1866-79, curatela, rev. e trad. Deiters, H.; poi in 5 voll., curato anche da Riemann, H., Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1907-17, lasciarono alcuni contributi sulla ritrattistica del compositore.

2 “Beethoven und die bildenden Künste. Sein neues Monument in Wien”, Neue Zeitschrift für Musik, XLVII, 76 (1880), pp. 204-6, fu subito tradotto dalla Revue et gazette musicale de Paris, XLVII, 19 (1880), pp. 146-8 col titolo “Les portraits de Beethoven”. Frimmel pubblicò anche scritti su Joseph Anton Koch, Dürer e Marcantonio Michiel.

3 “Beethovens äussere Erscheinung, seine Bildnisse” era compreso in Neue Beethoveniana, Wien, Druck und Verlag von Carl Gerold’s Sohn, 1888. I Beethoven-Studien, München–Leipzig, G. Müller, sono composti da Beethovens äussere Erscheinung, 1905, e Bausteine zu einer Lebensgeschichte des Meisters, 1906.

4 Wien, K. König, 1923.

5 Cfr. il mio Beethoven, ritratti e immagini. Torino, EDT–De Sono, 2010 <http://www.edt.it/beethoven-ritratti-e-immagini>.

6 Berlin, Harmonie Verlagsgesellschaft für Literatur und Kunst, 1901.

7 Berlin, Verlegt bei Bruno Cassirer, 1925.

8 New York, Rizzoli International Publications, 1987; Santa Fe (NM), Sunstone Press, 20082.

9 Nonostante vi siano ottimi esempi scritti da musicologi come Schmidt-Görg, Joseph– Schmidt, Hans. Beethoven. Bonn, Inter Nationes, 1970 (trad. it. Roma, Nove Muse, 19701; Milano, Claire, 19852).

10 Cit. in Magnani, Luigi. Beethoven nei suoi quaderni di conversazione. Torino, Einaudi, 19753, p. 198 n. 17.

11 Quando è costretto Frimmel riproduce ciò che vuole mostrare: in Beethoven im zeitgenössischen Bildnis cit., p. 40, schizza da sé il disegno a matita di Gustav Adolph Hippius che aveva appena ritrovato presso il nipote dell’artista.

12 L’esemplare è ogni stampa facente parte di una tiratura, il d’après è una stampa con scopo riproduttivo il cui soggetto deriva da dipinti precedentemente eseguiti da un altro artista.

13 Un esempio è la litografia di Paul Rohrbach (Berlin, 1875) basata sul ritratto di Ferdinand Schimon del 1818-19.

14 Per esempio: <http://digitalgallery.nypl.org> Joseph Muller Collection of Music and Other Portraits, New York Public Library for the Performing Arts, Music Division; <http://bilddatenbank.khm.at> banca-dati del Kunsthistorisches Museum, Wien; <http://www.imagesonline.bl.uk> catalogo della British Library, London.

16 A Bonn, nello Studio für digitale Sammlungen, il Beethoven-Haus consente a tutti la consultazione del suo patrimonio digitalizzato ad altissima definizione, mentre sul web le riproduzioni sono a bassa risoluzione e contrassegnate da un timbro, per evitarne il libero uso.

17 “L’episodio a Teplitz in cui Beethoven si presenta come un rude repubblicano è mal documentato; il tentativo di cancellarlo dalla memoria del pubblico dei concerti sarebbe però vano, perché esso non è altro che l’immagine che integra l’atteggiamento musicale della Quinta Sinfonia”. Dahlhaus, Carl. Beethoven e il suo tempo. Torino, EDT, 1990, trad. it. L. Dallapiccola, p. 17.

Foto: Gail Stoicheff, The Prince 2011 © Tincaart (opera commissionata dall’International Beethoven Festival di Chicago nel 2011) e Anton Boch der Ältere, 1827, dal disegno di G. E. Stainhauser von Treuberg.

Publicado en noviembre/diciembre 2012

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